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Andrea Laprovitera è scrittore e sceneggiatore ci racconta qualche cosa di sè e del suo lavoro, oggi a CartoonMag.
Andrea, domanda per rompere il ghiaccio: come si sei avvicinato al mondo della scrittura e della sceneggiatura?
In maniera semplice e inaspettata, sono da sempre grande lettore di fumetti ma anche di narrativa, romanzi, onnivoro e autodidatta. Provengo infatti da un istituto tecnico! Poi ho iniziato scrivendo piccoli racconti per bambini e ragazzi che inviavo a dei concorsi, ho avuto buoni riscontri e così da lì mi sono avvicinato al fumetto. Nel 2004 c’era un concorso per sceneggiatori riguardo Diabolik, io partecipai con una piccola sceneggiatura, non vinsi ma da lì in poi ho iniziato a fare sul serio. Comincia prendendo contatti con editori e a propormi, e nel 2006 andai a  & Games, qui vi tornai l’anno successivo da autore.
Quali sono i suoi genere di libri preferiti?
Non ho generi particolari, mi piace spaziare. Cominciai con la fantascienza pura di Los Paradise, passando dalla Tunuè con la graphic novel, termine che no amo particolarmente, al genere comico. Amo molto la storia e ciò si evince in diverse delle mie opere, per esempio nella biografia di Fred Buscaglione, romanzata, ho inserito anche tanta narrativa. Diciamo che dipende dall’input.
In “L’uomo che sfidò le stelle”, rievoca la storia dei cowboy, quale percorso l’ha portata ad affrontare questa tematica?
La casa editrice voleva creare un libro dedicato ai cento anni dalla morte di Augusto Imperiali  ma a fumetti e hanno chiesto a me e ad Alessandro di Virgilio di scrivere la storia. Io sono partito dalla storia, dall’evento reale che fu l’incontro con Buffalo Bill, mi sono occupato del soggetto, cercando di ricreare il tutto con la maggiore accuratezza possibile. Per dire, sono andato a cercare una ricetta tipica dei butteri di quel periodo! Questo perché amo documentarmi e scrivere di argomenti e fatti realmente accaduti, unendo storia e romanzo, inserisco anche qualche cosa di mio.
Cosa può dirci riguardo all’opera “Il Treno”?
L’ho realizzato due anni dopo l’idea di partenz,a perché all’inizio si pensava di parlare degli eventi del ’68 in generale. Non dovrei dirlo ma è un libro che mi piace molto, ho seguito attentamente gli eventi di cronaca sui giornali, sul web, e ho immaginato la storia di due ragazzi e una ragazza che vivevano nel 1968. Questi personaggi si conoscono, si frequentano, vanno all’università: Marco e Andrea sono innamorati di Sandra, che è molto assorbita dal movimento mentre i due ragazzi sono meno coinvolti. Uno proviene da una famiglia con ideologie di sinistra, l’altro al contrario di destra, le loro strade si interrompono per poi riunirsi diversi anni più tardi a Bologna, in quel triste giorno, e alcuni conti si chiuderanno. Ho avuto piacere a raccontarlo.
Quartieri: com’è nato e cosa può raccontarci della collaborazione con Niccolò Storai?
Con Niccolò ci siamo incontrato, abbiamo parlato tanto, entrambi in quel periodo eravamo liberi, e lui mi suggerì di scrivere  una storia legata a dei quartieri. Così immaginai dei protagonisti che vivono in quartieri di periferia, la particolarità è che la scena non stacca mai: un personaggio racconta la sua storia e mentre sta uscendo di scena ecco che si inserisce l’altro. Volevo vedere se questo piano sequenziale aveva un senso.
Rappresenta un po’ uno spaccato della società?
In parte si, nel senso che Quartiere tende al malinconico, non tutta la realtà è così. In mezzo a situazioni negative c’è anche chi vince il biglietto della lotteria…
Possiamo dire che c’è anche un po’ di poesia in quest’opera?
Si, il mio indirizzo di posta fa riferimento a William Butler Yeats che è un poeta. In ogni mia opera c’è sempre qualche cosa di poetico, da John Doe, alla colonna sonora di Free as a bird, ne Il Treno c’è la poesia di Pasolini del ’98.
Come mai la scelta di parlare di Fred Buscaglione in “Che notte quella notte” e a cosa si è ispirato?
Collaborando con Niccolò Storai si parlava di scrivere un libro su Picasso o Fred Buscaglione. In un anno siamo arrivati dall’idea alla realizzazione del tutto.  La biografia di per sé poteva risultare anche noiosa, per cui ho inserito un po’ di storia di Italia, senza distaccarmi troppo dal personaggio. Avevamo una base di colonna sonora, e così sono partito dall’incidente che ebbe Fred Buscaglione, quindi teoricamente dalla fine, poi lui incontra Dio e gli racconta la sua storia. Un aspetto quasi comico, con Dio che fa da spalla, quindi ho modificato un po’ l’io narratore.
Comicità che hai affrontato in Sonny e Sambo…
Si, mi sono divertito tanto a fare questo fumetto! Mi ha dato una grande soddisfazione, mi sarei accontentato di pubblicarne una pagina in  Francia, invece mi hanno pubblicato un libro intero, con copertina cartonata, un sogno. In questo periodo sto lavorando per farne una versione in italiano ma non è facile, dal 2009 sto cercando un editore, forse ci sono riuscito…
Riguardo al fumetto digitale cosa ne pensa? Può essere una modalità più appetibile per i ragazzi?
Ma sicuramente, anche se personalmente sono molto legato alla carta, la collezione, l’odore dell’inchiostro, però il futuro è anche altro. Mi auguro che il fumetto sul cartaceo non finisca, in Europa per esempio è molto diffuso l’audiolibro, in Italia è poco popolare, anche questo potrebbe essere una modalità di lettura che potrebbe coinvolgere di più i giovani.
Cosa manca al fumetto italiano?
Manca qualcosa per ragazzi, riviste, contenitori come il Corriere dei ragazzi.. i vari esperimenti negli anni non hanno riscosso successo, sopravvive solo Il Giornalino, è un peccato veramente.
Ha mai pensato di scrivere un storia in stile orientale?
No, devo dire che i manga non li leggo, forse anche per una questione anagrafica, ho sempre letto il classico fumetto. Lascio ad altri questo compito.
Cosa rappresenta per lei la scrittura e quali suggerimenti darebbe ai ragazzi che volessero intraprendere la sua carriera?
Ti ringrazio per “la carriera”! Scrivere è narrare, parlare un po’ di te anche se non racconti necessariamente le tue vicende, da grande soddisfazione. E’ un modo per esprimere sé stessi, la cosa bella è quando scrivi qualcosa e qualcuno te la pubblica non a pagamento, poi incontri persone che apprezzano ciò che fai. Nello scrivere per me c’è qualcosa di buono, anche cose semplici, per strappare un sorriso, una risata a qualcuno. Consigli… ma non saprei, io sono autodidatta, ho letto libri su come si costruisce un soggetto, una sceneggiatura e poi mi sono proposto. Partendo da piccoli editori, a volte si trovano risposte positive, altre volte negative, l’importante è non scoraggiarsi, credere nei propri mezzi.
A cosa sta lavorando?
Ora devo ripartire con una mini-serie poliziesca noir e un’idea per la Francia tratta da un romanzo per ragazzi.
Vuole fare un saluto?
Saluto mio figlio Riccardo e mia moglie Maria Cristina, ci tengo tanto.
Intervista di Veronica Lisotti